Pandemia, cinque anni dopo
20 febbraio: pandemia, cinque anni dopo
Questi 👇 sono i portici della mia città. I portici sono un tratto caratteristico di Correggio, con i bar, i negozi, le persone che si incontrano e si scambiano chiacchiere e informazioni, sorrisi e pezzi di vita. Esattamente cinque anni fa, tutto questo si è fermato.
Un ricordo che non passa
Ricordo ogni istante di quella giornata e delle successive, ancora prima del lockdown dell’8 marzo. Ricordo la preoccupazione, le scuole che sarebbero andate a chiudersi, le Giunte convocate d’urgenza, le notizie che si accavallavano, tutto, tutto in una rapida sequenza, fino al momento che, da sindaca, non avrei mai voluto vivere: i primi morti nella mia città, quelle pesantissime informazioni da dover condividere con i miei concittadini. Tutto nel vuoto e nel silenzio di quei portici, che non stavano più accogliendo vita. Da quel giorno di cinque anni fa, ne sono seguiti tanti altri, settimane e mesi in cui ho dovuto prendere e condividere decisioni, in cui ogni giorno ho sperato che davvero “andasse tutto bene“, in cui mi si stringeva il cuore nel vedere i bambini a casa dalle scuole e le persone anziane, nelle strutture, private anche del conforto di una visita.
Un’esperienza che porto con me
Tutto questo – che non potrò mai dimenticare – lo porto con me anche oggi, in questa mia nuova esperienza, dove mi ritrovo in Commissione Sanità a confrontarmi con pazienti e associazioni di famigliari, con medici e professionisti: il tributo di sacrifici, impegno – in troppi casi anche a costo della stessa vita – che il personale sanitario ha messo per poter ritornare a riempire di gioia anche quei nostri portici, insieme al patrimonio di conoscenze e alle testimonianze di affetto, unità, volontariato che, come sindaca e come cittadina, ho constatato e acquisito allora, attraversando quella terribile esperienza, mi impegnano oggi nel non sottovalutare mai l’eccezionale componente di umanità che si accompagna alle pratiche mediche e alle scoperte scientifiche. Grazie alle quali, oggi, siamo qui a ricordare quei giorni e a cercare di fare il possibile perché non ritornino mai più.
Una “Giornata nazionale” con un po’ di amarezza
Nell’autunno del 2020, proprio il 20 febbraio fu scelto come “Giornata nazionale dei professionisti sanitari”. Cinque anni dopo, questa ricorrenza si accompagna a un senso di amarezza: da un lato, il Governo riconosce giustificazioni e sconti a chi, all’epoca, fece di tutto per contravvenire le regole che tutti gli altri stavano seguendo, dall’altro le professioni sanitarie e socioassistenziali soffrono turni massacranti, stipendi inadeguati, servizi carenti, continui attacchi e violenze contro il personale, nel definanziamento del nostro servizio sanitario e nel disinteresse, da parte della maggioranza, nel sostenere il futuro della sanità pubblica e di chi vi lavora.